Stefano Ascari muove i primi passi nel mondo del fumetto sulla rivista modenese Casablanca. Collabora quindi con Massimo Bonfatti su vari progetti legati al personaggio di Cattivik. Nel 2006 fonda l’agenzia di comunicazione Intersezione della quale è attualmente creative director. Dal 2008 ha pubblicato diverse graphic novel in Italia e all’estero tra le quali “David”, “Shutter Island” e “Il brigadiere Leonardi” (con Andrea Riccadonna, per Edizioni BD, Milano). Dal 2011 ha curato per la Fondazione Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena la serie in undici volumi “Opera a strisce” con Cesare Buffagni, Alberto Pagliaro, Andrea Riccadonna e Mirco Pierfederici. Nel 2012 lavora al settimanale “Mytico!” per RCS – Corriere della Sera ideando il personaggio di Leandros e curando la storyline principale dedicata alla Guerra di Troia.
Ha inoltre firmato insieme a Diego Cajelli diversi numeri di “Long Wei” per Aurea Editoriale.
Docente al Corso di Laurea in Design del Prodotto Industriale di UNIBO, fa parte del Direttivo dell’Istituto Storico della Resistenza di Modena per il quale cura progetti di comunicazione, storytelling e public history.
Dal 2020 collabora inoltre con Dark Horse, Editions Delcourt e Einaudi Ragazzi.

 

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Com’è nata la passione per quello che ora è il tuo lavoro e quando hai capito che avresti voluto fare lo sceneggiatore?

 

Ho sempre sguazzato in mezzo alle storie, lette, raccontate, viste… quando ero alle elementari adoravo approfittare dei temi per trasformarli, per la gioia della maestra, in racconti di invenzione. E copiavo. Copiavo tantissimo. Leggevo Buzzati e provavo a scrivere come lui, leggevo Asimov e scrivevo di robot positronici… Restavo stregato per settimane dalle frasi sibilline che sentivo nei trailer cinematografici (tipo “Credevano fosse una casa come le altre ma non sapevano che li aspettava… L’INFERNO!”) di film che non avrei mai visto perché troppo piccolo ma che mi proeittavo direttamente in testa. Poi dopo mille rimbalzi tra fumetti umoristici e supereroi nel giro di pochi mesi sono incappato in Elektra Assassin, Watchmen, Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Miller e Dylan Dog (direi “Il sogno della tigre”). In fumetteria comprai (a peso d’oro) un volume della Glamour dove era pubblicata la sceneggiatura di Sclavi per “Ghor” un racconto disegnato da Micheluzzi per lo speciale “Gli orrori di Altroquando”. Mentre leggevo quelle righe mi sono reso conto che quello era il mio modo di vedere le storie e ho iniziato ad abbozzare i primi storyboard…

 

 

Com’è iniziata la tua carriera? Ricordi quale fu il tuo primo lavoro?

 

Ho iniziato a scrivere sceneggiature e a marinare la scuola nello stesso anno. A Modena usciva una fanzine spettacolare, Casablanca, animata da Graziano Giovenzana, l’edicolante della storica edicola Panini di fianco al Duomo. Io mi infilavo nello sgabbiotto con lui a guardare le tavole che arrivavano alla redazione e ogni tanto mi diceva “Eh, questo è bravo… però lo storia fa schifo…”. A un certo punto ho iniziato a farmi avanti, a proporre delle storie, Graziano ha visto che funzionavano e di lì a poco mi ha messo in contatto con lo studio di Massimo Bonfatti che all’epoca era l’autore di punta di Cattivik. Massimo si è preso la briga di tenere a bottega un moccioso (ero in seconda superiore) e fece anche la pazzia di pagarmi per ogni striscia che accettava. Su venti che proponevo di solito ne passavano un paio, ma mi sembrava comunque incredibile. Abbiamo lavorato insieme a storie che ho amato molto, Cattivik contro i boy scout, il Cattivik enigmistico e l’omaggio al Signor Bonaventura. A quel punto era il 1994, avevo diciannove anni e pubblicavo fumetti da quando ne avevo sedici. Mi sembrava un sogno.

 

C’ è stato qualcuno che ti ha guidato e spronato?

 

Sono stato molto fortunato. I miei genitori mi hanno sempre supportato nella lettura (meno nella scrittura, ma questa è un’altra storia): in casa non mancavano Mafalda, Linus, i libretti dei Peanuts, Sturmtruppen, i supereroi della Corno… Mentre nel mondo del fumetto ho sempre incontrato persone molto generose che mi hanno dato una spinta al momento giusto. Graziano Giovenzana e Massimo Bonfatti agli inizi, Christian Cornia che mi ha ributtato nel calderone del fumetto infilandomi dentro all’ormai storico forum Graphite e poi Giovanni Gualdoni che mi ha fatto per primo sognare la Francia, Marco Schiavone e Tito Faraci che sono stato i miei primi editori e che hanno creduto in me per il progetto Mytico! e poi Diego Cajelli con il quale abbiamo condiviso un tratto di strada breve ma molto intenso. Queste sono le persone che hanno impresso delle svolte oggettive alla mia carriera… senza di loro mi sarei fermato molto tempo fa. Poi ci sono una marea di professionisti magnifici e di amici che mi aiutano a crescere continuamente.

 

Ti è mai capitato di non sentirti all’altezza di un incarico?

 

Mi sembra sempre di essere uno “capitato lì” per sbaglio, credo che si chiami “sindrome dell’impostore”. Tutt’ora ho una forma di pudore insensato nel dire che faccio lo sceneggiatore… ma sotto sotto sono anche molto ottimista (o arrogante a seconda di come la si vuole vedere) quindi, oscillando tra angoscia e tracotanza, di solito riesco a fare tutto quello che devo.

 

Quando ti siedi alla scrivania e devi iniziare un nuovo lavoro, c’ è un grado di improvvisazione o segui un metodo ben preciso?

 

Le storie e le pagine me le faccio girare in testa per molto, molto tempo. Quando arriva il momento di trascriverle e di metterle in bella di solito sono all’ultimo secondo utile e non ho molto tempo per rituali o metodi. Diciamo che per carburare ho capito di aver bisogno di un cuscinetto di qualche ora dove ‘perdo tempo’ in attività assolutamente inutili. Poi le pagine iniziano a riempirsi e, di solito, funzionano. In generale parto da uno storyboard grezzissimo che mi serve solo per capire che, in qualche modo, la storia che devo raccontare starà nelle pagine che ho a disposizione. Lo storyboard poi di solito lo butto perché dopo due giorni non riesco neanche più io a capire bene cosa avevo scritto e pensato.

 

Che consigli daresti ai nostri studenti riguardo al futuro in questo mestiere?

 

Di essere pronti a rompersi le ossa e di stare sul pezzo senza voler bruciare le tappe. Ci sono dei passaggi da fare, delle competenze da acquisire… è un lavoro come gli altri. Il talento pùò aiutare ma per esperienza, la determinazione e la costanza sono il 90% del successo*.

 

* disclaimer importante: con “successo” non si intende qui una qualsivoglia situazione di agio economico ma semplicemente la possibilità di realizzare in modo sostenibile i propri sogni e di concretizzare le proprie idee.

 

Quali sono le cose che non possono assolutamente mancare nella tua postazione lavoro e quelle a cui sei più affezionato?

 

In realtà nulla. Non sono stanziale quindi tendenzialmente posso scrivere ovunque. Mi conforta però avere attorno le mie pile di libri, tanti taccuini e una penna Bic blu.

 

Se ti dovessi descrivere in tre parole, quali useresti?

 

Alto, brizzolato, goloso. O intendevi sul piano professionale?

 

Un sogno nel cassetto?


Poter dedicare molte più ore al giorno a scrivere. O perdere quindici chili.

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