11 Maggio 2022

Intervista a Matteo Casali

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Diamo voce ai nostri docenti!

 

I docenti della Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia non sono solo dei professionisti del settore, ma dei veri e propri navigatori del mondo della creatività. Che si tratti di fumetto, grafica pubblicitaria, sceneggiatura, illustrazione o web design, ogni corso mette a disposizione degli studenti una serie di esperti in grado di aiutarli a dare voce alla loro creatività. Come Matteo Casali, insegnante del corso di Fumetto e sceneggiatore di diversi titoli di successo, come Bonerest, K-11, 99 Giorni, Batman Europa e il recente Dhakajaar.

 

Ciao Matteo! Cominciamo parlando del tuo ultimo lavoro, Dhakajaar. Un fumetto che non è solo un fumetto, ma anche un gioco di ruolo. Com’è nato questo progetto e da dove viene l’idea di fondere i due medium?

 

L’idea viene dalla mia (antica?) passione per il gioco di ruolo e da quella, ancora viva e vegeta, per il fumetto. Ho avuto l’idea di fondere insieme le due cose, scoprendo così che nessuno l’aveva mai fatto prima. Quando l’idea, che ho coccolato e lavorato in piena tranquillità per anni, ha iniziato ad avere una forma compiuta, l’ho proposta a Panini che l’ha trovata subito interessante e ha coinvolto Need Games, una delle più importanti realtà editoriali italiane di gdr, per occuparsi del regolamento vero e proprio, scritto poi da Helios Pu con la mia “assistenza”. Il risultato ha sorpreso molti e sta appassionando lettori e giocatori, cosa che rende me e Federica Croci, disegnatrice di Dhakajaar (ed ex studentessa della nostra scuola), davvero contenti.

 

L’anno scorso si è conclusa K-11, la tua serie di “fantascienza sovietica” pubblicata da Sergio Bonelli Editore. Come ti sei trovato a maneggiare un soggetto così atipico per il panorama italiano?

 

Molto bene, è una storia in cui ho creduto molto e ai cui personaggi sono molto affezionato. Io, in realtà, parlo sempre di “fantascienza umana” quando K-11 è l’argomento di discussione. Perché, pur avendo un’ambientazione atipica che è stata definita “originale e inattesa”, alla fine la storia parla delle persone che si muovono tra le sue pagine, delle loro sofferenze e delle loro scelte. Quelle giuste e, soprattutto, quelle sbagliate. Scrivere personaggi “imperfetti” mi è sempre piaciuto, e Karl, il protagonista, è tra quelli più sofisticati che io abbia mai scritto.

 

Dove trovi gli stimoli e le idee per il tuo lavoro? Quali sono gli autori, di fumetti e non, che ti influenzano maggiormente?

 

Bella domanda… non ci sono origini specifiche per l’ispirazione. Magari un articolo o un libro letto tre anni prima mi torna in  mente al momento giusto e il gioco è fatto. Oppure, quando comincio a lavorare a una storia, mi sembra di trovare ogni giorno quello di cui ho bisogno per documentazione, approfondimenti, suggestioni, come se il mondo tutto si fosse messo al mio servizio per consentirmi di realizzare quella storia. Credo un po’ nella “synchronicity” che cantavano i Police, forse. O magari è solo quella che viene chiamata attenzione selettiva che si attiva al 200% e fa funzionare il mio cervello come serve in quel dato momento.

 

Raccontaci come si svolge la “giornata tipo” di uno sceneggiatore di fumetti. Segui una metodologia particolare?

 

Nessuna. Mi alzo e faccio quello che devo fare, ma il mettermi  scrivere succede in  tempi e modi sempre diversi. Posso fare a pugni con una pagina bianca per tutto il giorno e poi scrivere, in due ore, l’equivalente di una giornata intera di lavoro. Non posso dire di essere uno di quegli scrittori nine-to-five, come dicono gli anglosassoni, che rispettano un orario di lavoro preciso. Ma non ho nemmeno la pretesa di far finta di scrivere solo “quando sono ispirato”, perché è il mio lavoro e so come mettermi lì e sputare fuori lo scritto che mi viene richiesto. Temo però di non avere un metodo vero e proprio… (ride)

 

Immagino che nell’approccio al tuo lavoro influisca anche l’esperienza passata da disegnatore. Se sì, in che modo? Quando scrivi abbozzi già i layout delle tavole?

 

A volte, se serve. Di sicuro avere un occhio da disegnatore mi aiuta nell’evocare nella testa del disegnatore l’immagine che sto vedendo attraverso la mia descrizione in sceneggiatura. In qualche caso, però, lavoro con una “sceneggiatura disegnata”, come ho scoperto faceva anche Gianluigi Bonelli. Solo che i miei storyboard-sceneggiatura sono molto dettagliati e disegnati al meglio delle mie capacità di vecchio disegnatore, forse un po’ arrugginito, ma ancora capace di far capire cosa deve succedere sulla pagina.

 

Dopo tutta una vita passata a scrivere e sceneggiare, anche per major importanti come Marvel Comics e DC Comics, ti potresti definire “arrivato” o c’è ancora un personaggio su cui vorresti lavorare?

 

Arrivato mai, poco ma sicuro. Se mi sentissi arrivato, smetterei subito. Sono contento di aver avuto modo, nella mia ormai pluridecennale carriera, di aver lavorato sempre a progetti diversi tra loro e vorrei continuare così. Certo ci sono personaggi che mi piacerebbe scrivere, soprattutto quelli che vedo come una sfida interessante. Topolino, per esempio, che considero una delle cose più difficili da scrivere come si deve. Però non penso a questo o quel personaggio. A me sono le storie che interessano e se non ho quella giusta che mi convinca –e valga la pena di essere raccontata– potrei anche rifiutare un incarico importante. Come quello di scrivere Spider-Man (l’eroe preferito del Matteo bambino), cosa accaduta davvero, tra l’altro. Da non credere, vero?

 

Oltre al tuo lavoro di sceneggiatore, dal 2008 sei anche un docente della Scuola Internazionale di Comics. Cosa ti ha spinto a fare il famoso “salto dietro la cattedra”?

 

Mi è stato chiesto, in realtà. E ci è anche voluto un po’ per convincermi, visto che non avevo idea di come avrei fatto a insegnare una cosa che avevo imparato sul campo, non avendo avuto la possibilità di frequentare una scuola di fumetto, come sognavo di fare da ragazzino. Poi, per fortuna, ho accettato. Perché insegnare mi ha dato tanto e ho scoperto essere una cosa che mi piace fare perché ci vedo un ideale “passaggio del testimone”. Dopo tanta strada fatta nel fumetto, è bello vedere che qualcuno inizia a seguire il mio sentiero, tracciato con passione e amore per il fumetto.

 

Il miglior consiglio che daresti a un aspirante sceneggiatore di fumetti?

 

Leggere. Tanto. Di tutto. E poi, quando lo si è fatto, scrivere la cosa migliore che si può, ma solo quando si sa di essere nel momento giusto. Che di cose brutte, là fuori, ce ne sono già abbastanza. E creare un po’ di bellezza, se mi passi il termine, credo sia un dovere per chi, come me, ha la possibilità di farlo con il proprio lavoro.

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