Diamo voce ai nostri docenti!
I docenti della Scuola Internazionale di Comics di Reggio Emilia non sono solo dei professionisti del settore, ma dei veri e propri navigatori del mondo della creatività. Che si tratti di fumetto, animazione, sceneggiatura, illustrazione o web design, ogni corso mette a disposizione degli studenti una serie di esperti in grado di aiutarli a dare voce alla loro creatività. Come Anita Magnani, insegnante del corso triennale di Grafica Pubblicitaria, una graphic designer freelance che si occupa di brand identity, logo design, packaging, menu, brochures, posters, book design, layout, web design e motion design.
- Ciao Anita! Puoi raccontarci il tuo percorso di studi e come sei riuscita a trasformare la passione per la grafica in una professione?
Sono approdata alla grafica dopo aver peregrinato nel mare della comunicazione in senso lato, prima con gli studi di cinema al Dams e poi grazie a quelli di giornalismo a Urbino. La mia intenzione era quella di scrivere di cinema, ma più cercavo di afferrare il visivo con le parole e più mi sfuggiva. Così mi sono iscritta alla Scuola Internazionale di Comics a Reggio Emilia, dove ho frequentato il corso di Grafica Pubblicitaria, che mi ha aperto lo sguardo e insegnato a vedere. Da questo percorso ho capito che tutto serve, che raccontare una storia visiva ha a che fare con un bagaglio culturale da rimaneggiare e reinterpretare. Per questo, più che una graphic designer mi considero una visual storyteller.
- Da piccola cosa rispondevi a chi ti chiedeva “cosa vuoi fare da grande?”
Da piccola, veramente, avrei voluto fare la scrittrice: mi piaceva l’idea di raccontare storie e aprire tanti piccoli microcosmi immaginari.
- Quali sono i graphic designer e gli artisti che ti hanno maggiormente influenzata?
Di base non amo identificare maestri o scuole di pensiero, perché più che credere nelle singole influenze mi piace pensare che le cose siano il risultato di connessioni e relazioni. In ambito cinematografico, comunque, devo molto ai cromatismi e alle simmetrie di Wes Anderson; alla composizione maniacale di Terrence Malick, alle caleidoscopiche atmosfere deliranti di David Lynch e allo stile pop di Sofia Coppola. Per quanto riguarda l’arte, invece, vorrei vivere in un dipinto di David Hockney, vestita di pois come Yayoi Kusama. In campo grafico, sicuramente le agenzie Graphéine e Nascent sono dei punti di riferimento, in particolare per il branding. Bruno Munari, invece, mi ha insegnato il valore della progettazione, Paula Scher quello della tipografia, Josef Albers quello del colore e, infine, Bon Noorda del logo design. Poi, naturalmente, ci sono i professori che ho avuto alla Scuola Internazionale di Comics a Reggio Emilia, che davvero, ancora oggi, sono un punto di riferimento fondamentale: Gabriele Fantuzzi, Lucia Catellani e Roberta Bruno su tutti.
- Descrivici la tua giornata tipo al lavoro: come si sviluppa un progetto di brand identity?
Per sviluppare un progetto di brand identity sono molto metodica e seguo tutta una serie di step e fasi in maniera quasi maniacale. Necessito di un periodo molto ampio (e a tratti doloroso) di ricerca, analisi e sintesi prima di elaborare un concept; poi di solito mi confronto con Gabriele Fantuzzi, coordinatore del corso di Grafica Pubblicitaria della Scuola Internazionale di Comics a Reggio Emilia, che, suo malgrado, considero il mio mentore a tutti gli effetti, il quale di solito mi spinge a scavare ancora più a fondo. Quando il mio diario di bordo arriva intorno alle 70 pagine allora capisco che ci siamo.
- Nel rappresentare l’identità visiva di un cliente, quanto spazio riveste lo stile personale del grafico?
Per me lo stile è qualcosa di inevitabile, dal momento che da lì passa la nostra espressività e il nostro sguardo sul mondo, ma in un progetto grafico deve essere al servizio del messaggio, farsi impercettibile e funzionale allo stesso tempo, declinarsi. Il grafico non è un artista, non deve far nascere altre domande, ma rassicurare con delle risposte, rendere tutto chiaro e immediato. Lo stile personale lasciamolo agli artisti.
- Ti sei occupata del rebranding di una libreria molto amata a Reggio Emilia, “Il Semaforo Blu”. Puoi raccontarci come si è svolto questo progetto?
Mi sono divertita molto nel progettare il rebranding de “Il Semaforo Blu” perché mi ha dato modo di unire quello che più amo: grafica, libri ed educazione. Ho cercato di condensare in un logotipo l’idea rodariana dell’imparare ridendo, guardando il mondo ad altezza di nuvola.
- Si parla sempre più di intelligenze artificiali, come Midjourney. Per molti è una minaccia al processo creativo e, soprattutto, al diritto d’autore, mentre per altri può diventare un’opportunità. Tu cosa ne pensi?
Non mi sono documentata ancora abbastanza da farmi un pensiero in merito ma direi che possiamo dormire sonni tranquilli in questo senso: il processo creativo procede per connessioni ed associazioni, per cui l’intelligenza artificiale può sicuramente essere uno strumento in più per visualizzare i concetti ma non per generarli.
- Qual è il miglior consiglio da dare a qualcuno che vorrebbe diventare un grafico?
Per me il graphic design è prima di tutto relazione e connessione, per cui consiglierei di non escludere niente perché tutto è grafica.